Trasformare l’inattivazione della proteina p53 da causa del cancro a suo tallone di Achille è l’obiettivo del team di ricerca guidato dal dott. Ivano Amelio.

Classe 1982, una laurea in Biotecnologie Farmaceutiche all’Università Federico II di Napoli, il ricercatore italiano Ivano Amelio, dopo un dottorato in Biochimica e Biologia molecolare all’Università di Roma Tor Vergata, si è trasferito nel Regno Unito, al Medical Research Council di Leicester, dove è tornato dopo una parentesi di un anno in Belgio al Vlaams Instituut voor Biotechnologie della Ghent University.
Oggi è all’Università di Roma Tor Vergata, dove insegna Biochimica e ha avviato un proprio gruppo di ricerca grazie a un Grant Start-Up sostenuto da Fondazione AIRC sul gene p53.
L’intervista al dott. Ivano Amelio sul progetto di ricerca e la sua esperienza all’estero.

Che cos’è il Grant Start-Up finanziato da AIRC?
Il bando è basato sui principi che guidano la carriera di ricerca anche nel mondo anglosassone: l’enfasi è sull’indipendenza dei giovani ricercatori che riescono a ottenerlo. A loro vengono messi a disposizione fondi adeguati e significativi, purché presentino un progetto competitivo e dimostrino anche capacità di leadership.
Il Grant è iniziato ufficialmente a gennaio 2020, ma fino a maggio tutto è andato molto a rilento a causa della pandemia da Covid-19. Oggi finalmente, grazie al sostegno del dipartimento e del team, lo studio sul gene p53, che ha un ruolo essenziale nello sviluppo del cancro, sta proseguendo a pieno ritmo.
Qual è lo studio?
Il team di ricerca, costituito dal dott. Amelio e altri 4 ricercatori, si occupa principalmente di un gruppo di geni che sopprimono la trasformazione tumorale, in particolare del p53.

Perché il gene p53 è importante?
E’ il gene mutato nel 50 per cento di tutti i tumori. Ha un ruolo essenziale nello sviluppo del cancro, ma che ancora oggi, a quarant’anni dalla sua scoperta, è lontano dall’essere compreso pienamente.
Qual è il focus del progetto?
Identificare il link tra l’inattivazione del gene p53 e la capacità della cellula tumorale di diventare “plastica”, cioè la capacità di evolvere, adattarsi allo stress e proliferare, quando si perde la funzione di p53.
Quali sono gli obiettivi?
L’obiettivo primario è l’identificazione dei meccanismi di base e quello a medio termine è trasformarlo in approcci farmacologici.
Il progetto Grand Start-Up ha consentito al dott. Ivano Amelio il rientro in Italia dopo 9 anni all’estero.
Quali sono state le ragioni del trasferimento all’estero?
La ricerca costante di interazioni internazionali per identificare qual è il posto e le condizioni migliori per svolgere il proprio lavoro.
Cosa ha imparato dall’esperienza internazionale e quali sono le differenze nel fare ricerca in Italia e all’estero?
Un enorme comunicazione e scambio culturale. In Italia, rispetto ai Paesi esteri, c’è una formazione accademica di altro livello ma c’è bisogno che la comunità scientifica si apra maggiormente al confronto.
Qual è il consiglio per i giovani ricercatori che vogliono fare un’esperienza come la sua?
Una ricerca non solo di qualità, ma anche aperta agli scambi internazionali. Vorrei che i ragazzi che lavoreranno con me acquisiscano i mezzi e la cultura per fare quello che ho fatto io: andare all’estero e tornare in Italia, non necessariamente perché si ha nostalgia di casa, ma perché da una parte e dall’altra ci sono opportunità che si è in grado di cogliere.