“Solo attraverso la valorizzazione della ricerca nelle tecnologie biomediche possiamo aspirare ad un futuro migliore per l’intera collettività”. Le parole di Manuela Teresa Raimondi, professore ordinario di Bioingegneria al Politecnico di Milano attualmente al Dipartimento di Bioingegneria della University of Pennsylvania a Philadelphia negli Stati Uniti. “Alla luce della mia esperienza professionale e ricordando il noto motto di A. Einstein, credo che nelle difficoltà si possa trovare un’opportunità di reagire e dare un contributo costruttivo. Per affrontare la pandemia da Covid-19 la scienza ha un ruolo di primo piano”. Aggiunge la professoressa in un video “il nostro sguardo sul domani” per 100 esperte un progetto promosso dall’Osservatorio di Pavia e l’associazione Gi.U.Li.A., con lo sviluppo di Fondazione Bracco e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Il progetto, nato nel 2016, raccoglie 100 nomi e CV di esperte di STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Per saperne di più abbiamo avuto il piacere di intervistarla.

Professoressa, qual è la sua esperienza in questo periodo di emergenza sanitaria globale?
Cerco di proteggermi e rispettare le regole sanitarie. Ho scritto un articolo scientifico che fa il punto sugli strumenti tecnologici che possono velocizzare la scoperta e la sperimentazione di nuovi farmaci antivirali e di nuovi vaccini. Nella comunità scientifica siamo tutti fiduciosi che si possano presto rendere disponibili delle cure e un vaccino per combattere il coronavirus e consentire al ritorno ad una vita normale e felice. Da 20 anni con passione e dedizione svolgo la mia professione con il gruppo di ricerca in Meccanobiologia, che ho fondato presso il Politecnico di Milano. Sono fiduciosa che la pandemia rafforzerà il ruolo della ricerca e delle nuove tecnologie in medicina e consentirà di superare la crisi anche arricchendoci di nuove conoscenze.
Qual è il suo lavoro di ricerca in campo biomedico?
Con il mio gruppo progettiamo e sviluppiamo dei sistemi per far proliferare le cellule staminali in coltura fuori dal corpo umano, in modo che possano essere utilizzate per nuove terapie, ad esempio per malattie neurodegenerative come Parkison e Alzheimer, oppure lesioni del midollo spinale, e molte altre non ultima la fibrosi polmonare post-Covid-19.
Qual è la sua esperienza in campo internazionale?
Da due mesi mi sono trasferita presso il Dipartimento di Bioingegneria della University of Pennsylvania a Philadelphia negli Stati Uniti. Sarò ospitata per un anno sabbatico presso il Gottardi’s lab dove studierò biologia molecolare in modo da rafforzare le mie conoscenze sugli aspetti più biologici della mia ricerca nella bioingegneria.
Medicina e bioingegneria: la tecnologia a vantaggio di una medicina sempre più innovativa e sostenibile. Quanto è importante questo connubio per affrontare le sfide del futuro?
Fra pochi anni i farmaci tradizionali in pillola verranno in larga parte sostituti da farmaci avanzati, detti anche “biofarmaci”, che come principio attivo utilizzano una componente biologica. Questa componente può essere ad esempio un pezzetto di codice genetico o un anticorpo, come nel caso dei nuovi farmaci contro il coronavirus. Può essere una cellula vivente prelevata dal paziente stesso e fatta proliferare in laboratorio, come nelle nuove terapie cellulari con cellule staminali già utilizzate nei pazienti con infarto del miocardio. La componente biologica può essere un intero tessuto vivente fabbricato in laboratorio, come nelle terapie per la rigenerazione della cute già utilizzate nei grandi ustionati. Nel futuro, la componente biologica potrà essere un intero organo fatto rigenerare fuori dal corpo umano con cellule del paziente, e poi trapiantato; gli studi su questi nuovi trattamenti sono già arrivati sull’animale per organi vitali come il rene e l’intestino.
Le Scienze della Vita sono gli elementi fondanti per lo sviluppo di un’economia sostenibile che guarda al futuro creando nuove opportunità per la società nel settore sanitario, agroalimentare, chimico, farmaceutico e tutela dell’ambiente. L’integrazione fra la biologia molecolare, le biotecnologie e il digitale è al centro di un cambiamento radicale che cambierà profondamente nei prossimi anni la nostra società. L’Italia è un hub pulsante di questa rivoluzione con un network di valide strutture di ricerca, pubbliche e private, e di imprese innovative presenti su tutto il territorio nazionale a cui si aggiunge un ecosistema della ricerca italiana, con il grande progetto post Expo di Mind e dello Human Technopole, legacy di Milano 2015 che rappresenterà, anche in vista di Dubai 2020, un importante opportunità per l’intero sistema delle life science e dell’innovazione. E proprio ad un anno dall’Esposizione Universale di Dubai, durante l’evento One year to go che si è svolto lo scorso 2 ottobre, è emerso che l’Italia porterà e condividerà, con i 190 paesi partecipanti, il modello collaborativo tra scienza e sanità, salute e ambiente, benessere e alimentazione che durante la pandemia si è ulteriormente rafforzato e consolidato rendendo il nostro Paese una best practice internazionale. “L’Italia è ben posizionata sul fronte della ricerca internazionale in questi settori. Purtroppo i finanziamenti nazionali sono largamente insufficienti a sostenere la ricerca e questo crea un ritardo nella nostra capacità di raggiungere una buona competitività per ottenere finanziamenti Europei”, commenta la professoressa Riamondi.
Cosa si aspetta per il prossimo periodo?
Che la ricerca nelle tecnologie biomediche delle quali mi occupo venga valorizzata. Abbiamo visto tutti quanto sono importanti i respiratori e l’apparecchiatura per la terapia intensiva, i test e molecolari per rilevare l’infezione del virus Sars-CoV-2 e i test antigenici per valutare il grado di immunità delle persone alla malattia e consentire un recupero sociale in sicurezza.
Qual è il suo messaggio?
Che la scienza in generale e l’ingegneria biomedica in particolare devono mantenere un ruolo fondamentale nel garantire che le nuove tecnologie vengano rese disponibili alla collettività.
La professoressa Maria Teresa Raimondi è anche una delle protagoniste della mostra fotografica Una vita da scienziata, ideata e curata da Fondazione Bracco, che è stata esposta dal 29 settembre al 1° novembre 2020 presso l’Acquario Civico di Milano, nell’ambito del palinsesto “I talenti delle donne”. L’esposizione ha presentato i volti e le competenze di grandi scienziate italiane, protagoniste del progetto “#100esperte – 100 donne contro gli stereotipi”, nato per valorizzare l’expertise femminile in settori percepiti ancora come di dominio maschile. Il percorso di ritratti, realizzato dal celebre fotografo Gerald Bruneau, intende contribuire al superamento di pregiudizi di genere nella pratica scientifica. Biologhe, chimiche, farmacologhe, ingegnere, astrofisiche, matematiche, chirurghe, paleontologhe, informatiche: sono solo alcune delle professioni, condotte ai massimi livelli, delle scienziate fotografate.
Quanto è importante che vengano superati i pregiudizi di genere nella pratica scientifica?
La mostra fotografica è stato un regalo incoraggiante per molte scienziate che la Fondazione Bracco ci ha fatto nel suo stile sempre elegante e sensibile alle problematiche di genere. Per superare i pregiudizi di genere sarebbe importante creare dei finanziamenti per giovani ricercatrici che consentano alle migliori di rendersi indipendenti scientificamente il prima possibile, far partire il loro laboratorio, far crescere il loro team ed essere competitive per ottenere finanziamenti più importanti dalla Commissione Europea per finalizzare le loro ricerche. Io devo questo anzitutto al Politecnico di Milano, e anche alla Fondazione Cariplo, che mi ha finanziato ben tre volte nel passato, e questo mi ha consentito di rendermi indipendente e ottenere grandi risultati.