Nativi digitali e social media

Facebook, Instagram, TikTok, Twitter, Pinterest. I preadolescenti e il rapporto con i social media. Dipendenza o uso problematico? Ne parliamo con la dott.ssa Claudia Marino del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova e Visiting Researcher presso la London South Bank University

Internet fa male? Ad oggi la comunità scientifica non è ancora in grado di dare una risposta a questa domanda, ma si stanno conducendo delle ricerche per capire quali sono i pericoli legati all’(ab)uso prolungato dei network digitali per la generazione Z.

Uno studio realizzato da Department of Psychiatry dell’University of Montreal, pubblicato su JAMA Pediatrics, su un campione di circa 4000 adolescenti canadesi, ha riscontrato una relazione tra l’uso prolungato dei network digitali (frequenza di esposizione) e l’aumento dei sintomi di depressione. In particolare, se gli adolescenti guardavano programmi o erano su siti che li incoraggiavano a “misurarsi” con le altre persone – i cosiddetti “confronti sociali verso l’alto” – erano più inclini ad avere una minore autostima. Del rapporto tra autostima e social network ne parla anche The Social Dilemma, il documentario di Netflix diretto da Jeff Orloswki con protagonisti gli ex dipendenti della Silicon Valley. “I Social media scavano sempre di più nel tronco encefalico e prendono il controllo dell’autostima e dell’identità dei bambini”. Tristan Herris, responsabile del Center for Humane Technology ed ex design eretico di Google. 

Qual è il legame tra la salute mentale dei preadolescenti e l’uso dei social mediaÈ una domanda a cui la ricerca a livello mondiale sta cercando di dare una risposta ormai da diversi anni ma le conclusioni non sono univoche”, spiega la dottoressa Claudia Marino del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova e Visiting Researcher presso la London South Bank University. La dottoressa Marino ha partecipato alla realizzazione di ricerche scientifiche, la maggior parte delle quali frutto di collaborazioni internazionali sui temi dell’uso problematico dei social media e dei videogiochi negli adolescenti e nei giovani adulti. Si occupa principalmente dei correlati sociali (processi di influenza dei pari), emotivi e cognitivi (regolazione emotiva e metacognizioni) legati allo sviluppo dell’uso problematico di internet.

dott.ssa Claudia Marino

“Il legame tra la salute mentale dei preadolescenti e l’uso dei social media, dovrebbe essere osservato da due punti di vista differenti ma collegati. Gli effetti negativi dell’uso dei social sembrano essere dovuti più alla “qualità” che alla “quantità”. In altre parole, non è soltanto il tempo speso online di per sé a causare sintomi ansiosi, depressivi, di ritiro sociale, di scarsa soddisfazione per la vita ma è soprattutto il “come” gli adolescenti usano i social (per esempio, per costruire e affermare la propria identità) che si riflette in un uso che diventa problematico. È molto probabile che la relazione tra benessere psicologico e uso problematico dei social media sia bidirezionale. In sostanza, l’uso problematico dei social aumenta le conseguenze negative per la vita psico-sociale dei ragazzi. D’altra parte gli adolescenti con vulnerabilità psicologiche pre-esistenti sono più a rischio di sviluppare un uso problematico dei social perché usano la tecnologia come strategia per fronteggiare gli stati emotivi negativi. Quasi inevitabilmente, la maggior parte di essi non raggiunge gli effetti desiderati (di comprensione, supporto, e riconoscimento dagli altri) e molto spesso sperimenta sentimenti ancora più negativi che si ripercuotono direttamente sulla bassa autostima e le relazioni sociali disfunzionali”.

L’incapacità di disconnettersi dal mondo virtuale è un fenomeno in aumento. “Controlli lo smartphone prima di fare pipì al mattino o dopo?”. Domanda Roger McNamee, Facebook early investor Venture Capitalist, in The Social Dilemma. 

Dottoressa, si può parlare di dipendenza da social media? 

Non ancora. Al momento la dipendenza da social media non è riconosciuta come tale dalla comunità scientifica. Solo il disturbo da uso dei videogiochi (sia online che offline) è stato recentemente inserito nell’ International Classification of Diseases (ICD-11). Per questo parliamo di “uso problematico dei social media”. È un fenomeno caratterizzato sia da alcuni elementi riconducibili ai disturbi dovuti alle dipendenze tradizionali e comportamentali (per esempio salienza, tolleranza, uso compulsivo, sintomi di astinenza) che da altri comportamenti strettamente legati alla natura “social” delle tecnologie (per esempio, la preferenza per le interazioni sociali online e la pressione ad essere sempre connessi). Quindi, l’uso problematico dei social media è caratterizzato dalla difficoltà nella regolazione delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti che causano conseguenze negative nella vita quotidiana dei ragazzi in termini di conflitti familiari e con gli amici, scarsa concentrazione, problemi scolastici e disturbi del sonno.

Negli Stati Uniti tra il 2011 e 2013 si è registrato un enorme incremento di stati di ansia, depressione e addirittura di ricoveri per ferite auto inflitte tra i preadolescenti. “I casi di ricovero a causa di lesioni auto inflitte è salito del 62% per le ragazze tra i 15 ai 19 anni e del 189% per le preadolescenti. Questo andamento è riconducibile ai social media. La generazione Z, bambini nati dopo il 1996, sono la prima generazione della storia ad essere approdata sui social media dalle scuole medie. Una generazione più fragile, ansiosa, più depressa”. Afferma Jonathan Haidt, psicologo statunitense nel documentario più discusso del momento. 

Si parla di una generazione Z, soprattutto femminile, più fragile, vulnerabile agli stimoli dei social network con conseguenze depressive molto gravi.. 

I dati sono sicuramente impressionanti. Le nuove generazioni sono praticamente nate “con lo smartphone in mano” e credo che un legame tra i disturbi dell’umore in età precoce e uso problematico delle nuove tecnologie possa esistere, soprattutto in termini di maggiore difficoltà a regolare le proprie emozioni e i propri pensieri e comportamenti. Per esempio, scrollando “compulsivamente” Instagram, le emozioni che un adolescente prova cambiano repentinamente nel corso di pochi secondi sulla base dello stimolo contingente (es., una foto di un amico di cui è invidioso, la notifica di un nuovo follower, una foto di una festa a cui non è stato invitato, una foto di un influencer a cui vorrebbe somigliare, l’attenzione ricevuta dalla sua ultima storia, ecc.). L’avvicendarsi continuo e ripetitivo di emozioni e pensieri diversi (sia positivi che negativi) è molto dispendioso dal punto di vista energetico ed emotivo e necessita di capacità di autoregolazione di cui i preadolescenti non sono completamente provvisti. In questo senso, è possibile che le ultime generazioni avranno maggiori difficoltà nel regolare il loro umore. Tuttavia, è importante considerare che l’associazione tra uso problematico dei social network e depressione non è assoluta ma si deve tenere conto di una serie di caratteristiche individuali e contestuali che influenzano tale relazione.

Come intervenire? 

Sembra retorica ma si può intervenire precocemente con un’adeguata educazione all’uso dei social media. Un’educazione che parta fin dalla scuola dell’infanzia e che sia focalizzata non solo su aspetti come la privacy e l’adescamento online ma anche e soprattutto sulla costruzione dell’idea di sé e dell’altro, sul riconoscimento e sull’espressione delle proprie emozioni, sui processi di influenza sociale tra pari e sulle credenze che bambini e ragazzi sviluppano rispetto all’importanza dei social. Ovviamente, la formazione coerente di genitori e insegnanti è cruciale per creare un ambiente in cui i ragazzi siano esposti ai medesimi modelli educativi positivi di “uso positivo e responsabile” dei nuovi media.

Come capire che si sta manifestando un disagio prima che questo si trasformi in tragedia? 

Sintomi di astinenza quando non si può accedere ai social, preoccupazione intensa o esplosioni di rabbia osservate dopo l’accesso ai social, ritiro sociale, difficoltà ad addormentarsi, automatismo nel controllo compulsivo delle notifiche… sono alcuni dei segni più evidenti che le famiglie possono cogliere.

Una volta individuato un vero e proprio stato depressivo si pone il problema di come affrontarlo da un punto di vista terapeutico, in generale, qual è il percorso suggerito?

Viste le caratteristiche emotive, cognitive e comportamentali coinvolte nell’uso problematico delle tecnologie, la comunità scientifica suggerisce interventi terapeutici focalizzati proprio su questi aspetti come la Terapia Cognitivo-Comportamentale. Nonostante i dati evidenti e preoccupanti, è importante sottolineare che solo una minoranza degli adolescenti europei che usano i social (circa il 7%; dati HBSC raggiunge livelli di problematicità a rischio. Per questo motivo, l’intervento va pianificato anche e soprattutto a livello contestuale (familiare e scolastico) attraverso interventi di prevenzione e promozione della salute rivolti a tutta la popolazione.

Non si vuole demonizzare l’utilizzo dei social media

ma nel nostro piccolo l’obiettivo è quello di provare a fornire ai giovani e alle famiglie delle indicazioni su un’adeguata educazione all’uso dei social media che, in era moderna e della globalizzazione, rappresentano una risorsa. 

Alla luce di quanto detto, i preadolescenti e gli adolescenti che uso possono fare dei social network? 

Sarebbe anacronistico e tecnicamente impossibile chiedere agli adolescenti di cancellare e semplicemente dimenticare gli account social. Ci sono molti studi che hanno mostrato i vantaggi dell’uso positivo dei social per esempio in termini di maggiore supporto sociale percepito, impegno civico e senso di appartenenza al gruppo dei pari… quindi, l’uso positivo comprende: usare i social a “supporto” delle relazioni sociali senza sostituirle completamente con le interazioni online; usare i social come strumento per raggiungere un obiettivo specifico e consapevole piuttosto che per passare il tempo; essere consapevoli di quanto ciò che facciamo e vediamo sui social ci influenza e ristabilire delle priorità; “mettersi d’accordo” con gli amici sui tempi di reazione ai post e ai messaggi; chiedere aiuto quando sentiamo che i livelli di preoccupazione per ciò che succede (o non succede) online si alzano fino al punto di non riuscire a pensare ad altro.

Riferimenti

Marino, C. (2018). Quality of Social Media Use May Matter More than Frequency of Use for Adolescents’ Depression. Clinical Psychological Science, 6(4), 455.

Marino et al., 2018 C., Gini, G., Vieno A., & Spada, M.M. (2018). The associations between problematic Facebook use, psychological distress and well-being among adolescents and young adults: A systematic review and meta-analysis. Journal of Affective Disorders, 226, 274–281.

Marino, C., Gini, G., Angelini, F., Vieno, A., & Spada, M.M. (2020). Social norms and e-motions in problematic social media use among adolescents. Addictive Behaviors Reports, 11, 100250.

HBSC Inchley J, Currie D, Budisavljevic S, Torsheim T, Jåstad A, Cosma A, et al., editors. Spotlight on adolescent health and well-being. Findings from the 2017/2018 Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) survey in Europe and Canada. International report. Volume 1. Key findings. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe; 2020. Licence: CC BY-NC-SA 3.0 IGO.

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