Secondo l’ultimo sondaggio annuale svolto dal WCPT (World Confederation for Physical Therapy), sono attualmente 65.000 i fisioterapisti che svolgono la professione in Italia. Il dato, fornito dall’AiFi (Associazione italiana Fisioterapisti), è riferito in relazione al totale di 695.601 fisioterapisti presenti in Europa e a quello di 1.583.361 fisioterapisti in tutto il mondo. In altre parole, in Italia opera quasi il 10% dei fisioterapisti di tutta Europa.
La sezione incentrata sulla panoramica europea del sondaggio WCPT evidenzia inoltre una certa disomogeneità nei requisiti minimi necessari per accedere all’esercizio della professione: a seconda del Paese, nel Vecchio Continente può essere sufficiente il generico “diploma” oppure diventano necessari Laurea triennale (laurea breve), Laurea magistrale o, in alcuni casi, Master di specializzazione. In Italia, come sottolinea l’AiFi, la normativa richiede di frequentare e portare a conclusione il Corso di Laurea (triennale) in Fisioterapia organizzato presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, con possibilità successiva di accesso a Corsi di Laurea Magistrale della Classe delle Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, a Master di primo livello e a Corsi di Perfezionamento.
La formazione prevista Paese per Paese costituisce quindi un aspetto non trascurabile nella professione, anche tenendo conto di un altro numero: quello relativo agli 827 fisioterapisti italiani che risultano essersi ufficialmente trasferiti all’estero (prevalentemente in Europa) nell’arco degli ultimi dieci anni (Italia allo specchio. Il DNA degli Italiani. Anno 2018).
Qual è allora il contributo dei fisioterapisti italiani all’estero e in Europa in questo settore sanitario, definito dall’Enciclopedia Treccani come “l’utilizzazione a scopo terapeutico degli effetti biologici di agenti fisici di varia natura e di pratiche, quali i massaggi, la cinesiterapia o la ginnastica, applicati sull’intero organismo o su parti di esso”? Come si relazionano i nostri professionisti negli ambienti di lavoro fuori dall’Italia? The Journal of Italian Healthcare World ne ha parlato con Gian Paolo Simonetta, fisioterapista specializzato in riabilitazione sportiva, post-chirurgica e terapia manuale, che da diversi anni si è stabilito in Olanda ed è entrato di recente nel network IHW.

Buongiorno, Gian Paolo, e benvenuto. Per iniziare, può spiegare ai lettori del Journal quale è stato il suo percorso formativo e professionale in Italia?
È stato molto variegato. Sono uscito dall’università con una formazione prettamente neurologica e ho iniziato a svolgere la mia attività presso la Fondazione Don Gnocchi, dove ho potuto approfondire le conoscenze sulla riabilitazione neurologica. In seguito, per compensare quelle che percepivo come lacune nell’ambito della terapia manuale e della riabilitazione ortopedica, ho frequentato corsi specializzati e lavorato presso i centri di eccellenza TopPhysio (Villa Stuart e Quisisana) e presso Fisioluc: qui ho avuto l’opportunità di collaborare con il dott. Piergiorgio Luciani, dal quale ho imparato molto sulla riabilitazione della spalla, e, tramite il dott. Luciani, con il prof. Di Giacomo.
Un percorso invidiabile e di tutto rispetto, dunque. Come mai la decisione di trasferirsi e perché proprio Amsterdam?
Mi sono trasferito in Olanda per scelta personale più che professionale. Nel 2012 andai in vacanza ad Amsterdam e fu colpo di fulmine. In quel periodo per motivi personali non avrei potuto trasferirmi, e quindi lasciai l’idea da parte; a un certo punto, poi, ho iniziato a vivere con disagio l’Italia nel suo complesso. Pur avendo uno studio ben avviato a Roma, che mi consentiva guadagni anche superiori a quelli attuali, non ero felice. Così, al rientro da una ulteriore vacanza ad Amsterdam, ho deciso di trasferirmi definitivamente e ricominciare tutto da zero. Ad Amsterdam mi sono specializzato nel trattamento mio-fasciale.
Confrontando le esperienze in Italia e in Olanda, riscontra delle differenze significative nel modo di esercitare la professione di fisioterapista?
Qui in Olanda le sedute durano circa 20-30 minuti e si lavora molto manualmente o tramite esercizi fisici. Praticamente non si usano i macchinari. Spero a breve di aprire il mio primo studio e poter riproporre l’approccio e la filosofia che usavo a Roma, con cui ho sempre avuto ottimi risultati. Un’altra differenza è l’uso del dry needling (la pratica che prevede l’utilizzo sui muscoli di un ago da agopuntura per combattere contratture e dolori muscolari), che qui in Olanda è applicata con grande frequenza dai fisioterapisti, mentre in Italia è considerata una procedura invasiva quindi consentita solo ai medici (Consiglio Superiore di Sanità).
Cosa le manca dal punto di vista professionale dell’Italia e quali sono invece gli aspetti che preferisce in Olanda?
Mi manca molto la possibilità di lavorare con i pazienti chirurgici e di collaborare con i grandi ortopedici. In compenso, posso dedicarmi alla terapia manuale che costituisce comunque uno dei miei interessi centrali.
Dal punto di vista dei pazienti, ha notato un approccio “culturale” alla fisioterapia diverso nei due Paesi?
La cosa che mi piace di più qui ad Amsterdam consiste nell’interazione con pazienti provenienti da ogni parte del mondo: devo trovare con ciascuno di loro un modo di dialogare, di scherzare anche, diverso. A parte questo, forse l’unica differenza consiste nel fatto che in Italia avevo più pazienti over-60.
Gian Paolo, grazie per aver proposto ai lettori del Journal of Italian Healthcare World un punto di vista originale e interessante, da “insider”. Un’ultima domanda: e l’Italia? Pensa di rientrare?
Per le vacanze, di sicuro, ogni anno. Tornare stabilmente? Forse quando andrò in pensione…
Gian Paolo Simonetta fa parte del Network Italian Healthcare World, la prima piattaforma dedicata ai medici e professionisti sanitari italiani residenti all’estero. Il suo profilo è consultabile nella nostra utilissima WebApp.