Una vera e propria dipendenza dai social network potrebbe diventare un fenomeno molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti tanto da mettere a repentaglio la loro vita come successo alle vittime di Blue Whale Challenge, uno dei giochi online pericolosi che da circa due anni periodicamente torna a suscitare allarme, definito un vero e proprio rituale psicologico, legato appunto ai social network, proveniente dalla Russia e che si è diffuso in altri Paesi del mondo. Il gioco dell’orrore consiste nel seguire alcune regole per 50 giorni, scritte su una lista inviata alla vittima dagli organizzatori, e l’ultimo giorno è previsto il suicidio, gettandosi da un palazzo molto alto.
- Regola numero uno, per chi prende parte al gioco attraverso l’iscrizione a specifici gruppi sui social, è quella di tagliarsi la mano e inviare la foto al curatore.
- La seconda invece è quella di alzarsi alle 4.20 del mattino e guardare dei video psichedelici.
- La terza tagliarsi il braccio lungo la vena, non troppo in fondo, fare 3 tagli e inviare la foto al curatore. Disegnarsi sul braccio una balena e inviare la foto al curatore è la quarta regola, la quinta invece è incidersi “yes” sulla gamba se si è pronti a essere una balena, altrimenti bisogna punirsi con alcuni tagli.
Più si va avanti nei giorni e più le regole del gioco dell’orrore diventano allucinanti: la quattordicesima regola, ad esempio, prevede il taglio sul labbro, alla sedicesima giornata bisogna procurarsi tanto dolore. il 26 esimo giorno il “tutor” comunicherà all’adolescente il giorno in cui dovrà morire, che avverrà allo scattare del 50esimo giorno. Chi arriva all’ultimo giorno viene celebrato dagli altri membri della comunità.

Cosa spinge gli adolescenti di oggi a seguire rituali con un tragico finale senza possibilità di ritorno?
Come frenare questo tipo di fenomeno?
Cosa devono fare i genitori e come capire se i figli sono in pericolo?
L’abbiamo chiesto alla psicologa clinica e psicoterapeuta Roberta Fedele.

“Il fenomeno del Blue Whale sembra cavalcare alcuni degli aspetti propri dell’adolescenza esistenti da sempre, con l’aggiunta però di elementi che sono assolutamente figli del periodo storico in cui viviamo. L’adolescenza è un periodo di forte crisi dello spazio mentale e della sua integrazione, che vede l’adolescente impegnato in vari compiti evolutivi, quali il conflitto tra la dipendenza e l’indipendenza, il processo di individuazione, la chiusura in se stessi e l’isolamento, l’importanza che riveste l’appartenenza ad un gruppo ed i movimenti identitari ad esso collegati. Sembra in particolare che questi due ultimi aspetti siano coinvolti nel fenomeno del blue whale. Infatti, il partecipare al “gioco” prevede l’entrare a far parte di un certo gruppo ed esso, come la maggior parte dei gruppi adolescenziali, scatena al suo interno dinamiche molto intese, è caratterizzato da rigidità e chiusura agli adulti e spesso chi vi appartiene ne accetta le regole e le modalità comunicative. Il gruppo soddisfa spesso un bisogno di sicurezza che il giovane vive in relazione alla propria confusione emotiva. Spesso il gruppo di pari si contrappone al nucleo familiare, in particolare alle figure genitoriali, le quali tendono a conservare una visione del giovane ancora associata a quella di un bambino; esso soddisfa bisogni di orientamento, di elaborazione di valori diversi da quelli degli adulti, e dà vita ad intensi processi di identificazione su cui si basa la coesione e l’organizzazione del gruppo stesso. Tali movimenti identificatori sono ancora più significativi se il giovane vive una situazione di isolamento e di ritiro in se stesso, percependosi come l’unico garante della propria assoluta autonomia. Ecco quindi che il senso di appartenenza e il sentirsi compreso svolgono un ruolo importante”.
Cosa spinge un ragazzino a compiere gesti di questo tipo?
“Andrebbero presi in considerazione una molteplicità di fattori ed il significato va comunque sempre ricercato nella specificità di ogni singola situazione; tuttavia è possibile individuare alcune situazioni ricorrenti quali: una difficoltà a tollerare i sentimenti di solitudine e isolamento che accompagnano processo di separazione-individuazione delle figure parentali e di costruzione della propria identità; oppure il fisiologico bisogno di sfidare, che resta sempre una delle maggiori difese in adolescenza. Ancora, la fantasia di essere salvati dalla morte, la speranza di poter trovare o ritrovare una condizione di pace attraverso il suicidio, di sollievo rispetto alle difficoltà che si stanno attraversando. A questa fantasia se ne aggiunge spesso un’altra, e cioè che mediante la morte si attesti la propria onnipotenza ed il trionfo di Sé sulla realtà.
Alla base di questo perverso meccanismo c’è una forte conoscenza degli elementi psicologici da parte dei creatori del gioco?
“Potrebbe esserci sicuramente una profonda conoscenza dei meccanismi psicologici propri della adolescenza e di come questi si incastrino e si amplifichino con i mezzi e gli strumenti moderni, quali la tecnologia, internet, i videogiochi, ecc. Il computer diventa spesso una specie di versione altra di se stessi, senza di esso ci si sente persi e si è fuori dal mondo. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono all’adolescente di oggi di ridurre il confronto faccia a faccia e di sostituire l’esperienza diretta con una percezione mediata. Ci sarebbe da chiedersi se essere sempre connessi, attraverso smartphone, internet, Facebook, ecc. muta il modo di rappresentarsi, se permette di ammorbidire il senso di solitudine che nasce in adolescenza, e se quindi questo vada considerato come una nuova forma di gruppalità, oppure lascia l’adolescente più che mai isolato e chiuso in un suo mondo illusorio”.

C’è chi sostiene che Blue Whale sia tutta un’invenzione. Fake news o no il messaggio è quello di mantenere alta l’attenzione nei confronti degli adolescenti che utilizzano i social media e combattere la nascita e la diffusione di fenomeni pericolosi.
Cosa si deve fare in termini di prevenzione?
“Si potrebbe fare molto di più sia in termini di prevenzione che di informazione e azione rispetto al fenomeno; sarebbe necessario infatti creare degli sportelli di ascolto, divulgare il più possibile informazioni circa il cyberbullismo, supportare i genitori, soprattutto con approfondimenti che riguardano un uso perverso del mezzo mediatico e di internet. Credo che questi fenomeni abbiano trovato terreno fertile in una società totalmente impreparata ad affrontarli e che essa non sia ancora riuscita a reagire; internet sembra infatti più il mezzo attraverso il quale la problematica prende forma, che la causa in se’”.
I genitori devono fare attenzione a..?
“Ai cambi di umore, ragazzi che sono solari e che invece improvvisamente diventano cupi e silenziosi, agli scatti di ira, alle manifestazioni di ritiro e di isolamento, alle espressioni di irritabilità, al cambiamento improvviso delle abitudini cosi’ come alle manifestazioni ossessive”.
Nessun allarmismo, ma vietato abbassare la guardia. Quali sono i suoi consigli?
“Il giusto investimento di tempo e di energie durante l’infanzia e la fanciullezza aiuta a prevenire il trasformarsi dei piccoli problemi di queste fasi nei grandi problemi dell’adolescenza, ed è importante pensare a questo come ad un processo da costruire nel tempo e sul quale lavorare costantemente. Rispetto proprio all’utilizzo dei dispositivi elettronici quali smartphone, ipad, ecc., sarebbe importante stabilire delle regole e delle limitazioni in maniera precoce; diventa molto complicato infatti, soprattutto con l’adolescenza, ridurre l’uso del computer se per anni il bimbo a tavola ha mangiato con l’ipad acceso oppure gli è stato permesso di giocare al cellulare durante le cene tra amici per “distrarlo”. Nella fase adolescenziale la parola chiave è osservare i ragazzi, ma una osservazione che li veda, che li guardi veramente, cogliendone i segnali, sia positivi che di disagio, senza però trasformarli immediatamente in scoppi di ansia da parte dei genitori.In generale è importante adottare un atteggiamento empatico, di comprensione, mostrarsi supportivi nei momenti di difficoltà e anche consolarli se è necessario; stabilire sempre regole chiare, non troppo restrittive, da concordare in anticipo con i ragazzi e che prevedano sanzioni realmente applicabili; notare non solo i comportamenti disfunzionali ma anche quelli adattivi, rinforzandoli positivamente; favorire l’autonomia e l’affermazione dei sentimenti e delle aspirazioni del figlio (nei limiti consentiti dall’età), anche se non sono in linea con quelle che sono le aspettative dei genitori. La capacità educativa dei genitori sta proprio nel permettere al figlio di separarsi gradualmente dalle figure parentali, insieme alla capacità di offrire sostegno, comprensione e disponibilità emotiva e comunicativa in questo momento così difficile per il giovane”.
Estratto di un’intervista di Nicoletta Mele pubblicata su Health Online